L’anno 2002 segna un capitolo fondamentale nella storia Europea, infatti è entrata in vigore la nuova moneta, l’ Euro. Ah, se i viaggiatori europei del passato avessero avuto l’Euro, quante tribolazioni in meno! Come sono cambiate le monete in oltre ventisei secoli? Ben lontani sono i tempi in cui si usavano le conchiglie, o quando si barattavano i polli con le stoffe: niente conti correnti, no alle monete false, nessuna coda allo sportello bancario. Al principio si usavano le tavolette di fango, i gettoni di terra cotta, ed infine, è arrivata lei: la moneta metallica. Oro, elettro, rame , argento e poi filigrane, si sono avvicendati nei portafogli dei viaggiatori e non solo, causando affanni e problemi. Soprattutto durante un lungo viaggio.
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La prima considerazione da fare pensando ai viaggiatori del passato è che un tempo non esisteva la carta di credito e tanto meno il bancomat. Altra considerazione: un viaggio raramente durava pochi giorni, bensì mesi, per non dire anni. Il viaggiatore aveva pertanto poche alternative: o si portava cibo, vivande, abiti e quant’altro da casa onde evitare di fare acquisti lungo il cammino (spesso cosa impossibile) oppure, preventivava dettagliatamente tutti i costi di viaggio per stabilire quanto denaro portare con sè. Fare un preventivo non era cosa da poco e ogni paese riservava delle incognite. Il “budget” di viaggio era quindi decisamente approssimativo e sovente dava origine a seri problemi che il viaggiatore doveva ingegniarsi ad affrontare lungo il viaggio. Ecco perché vigeva l’usanza di portare con sé oggetti di valore in oro e argento come collane, bracciali, anelli e orologi: all’occorrenza avrebbero rappresentato l’ancora di salvezza.
Esempio di alcune voci di spesa di un viaggio, risalenti al XVI secolo:
Affitto dei cavalli: il costo del noleggio tra una città e l’altra doveva essere calcolato anche per la tratta di ritorno, soprattutto in Italia. Diminuiva leggermente se il cavallo risultava di “seconda mano”, ovvero stanco dopo un recente viaggio.
Costo di mantenimento del servo, del cuoco e del cameriere che erano sempre al seguito del viaggiatore e spesso anche più di uno se questi era ricco.
Il costo del ciabattino: spesa rilevante dato che non si viaggiava in aereo, ma soprattutto a piedi.
Costo per la lavandaia, per il barbitonsore, per la paglia e i sacchi di foraggio occorrenti ai cavalli. Il costo incideva parecchio poichè a casa il fieno era frutto della propria terra, ma viaggiando bisognava acquistarlo oppure portarlo appresso se si voleva risparmiare…ma significava un mulo in più…quindi altri costi.
I doni: per ricambiare l’ ospitalità ricevuta era d’obbligo portare appresso alcuni oggetti di valore di cui fare dono al momento opportuno, usanza molto osservata fin dal MedioEvo.
Questo è solo un estratto di preventivo di viaggio che poteva raggiungere cifre vertiginose: quanto più elevata era l’estrazione sociale del viaggiatore, tanto più costoso diveniva il viaggio. Per i giovani nobili ed aristocratici che soggiornavano all’estero per motivi di studio, occorreva preventivare anche i costi per il tutore e il maggiordomo personale, per le lezioni di equitazione, di scherma, di ballo, spese per lo svago, poi il maestro di musica e di lingue, ecc…
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Stabilito il budget bisognava trovare il modo di trasportare il denaro con sé. Infatti nel 1600, l’equivalente di cento sterline in monete d’argento, pesava oltre dodici chili! Occorreva un “portamonetone”!
Al principio il denaro veniva trasportato in casse robuste, ma queste erano troppo visibili e ingombranti. I viaggiatori allora si facevano mandare il denaro tramite un servo. Questo era il loro bancomat. La fretta era proprio un concetto estraneo all’epoca!
Farsi recapitare il denaro significava però andare incontro ad una serie infinita di seccature prima fra tutte il brigantaggio. Se il denaro era poco poteva essere nascosto nelle scarpe, usanza che ha dato origine al modello di portamonete chiamato “tacco” poiché i viaggiatori usavano nascondere i soldi all’interno del tacco delle scarpe.
Sembrerà strano riletto ai giorni nostri, ma a quei tempi i banditi esistevano certo, ma erano di buon cuore: non lasciavano la vittima completamente priva di soldi. Era un fenomeno questo non così eccezionale, soprattutto durante l’epoca dei pellegrinaggi. Vi sono diverse testimonianze a riguardo come quella di un Anonimo polacco del 1595 che raccontò di aver ricevuto dal capobrigante ben dieci zecchini d’oro, dopo averlo implorato di non lasciarlo senza denaro. Si dice poi che a Creta, se una banda aveva capito che il pellegrino non portava addosso niente di valore, questi ricevesse un pezzo di argilla con l’impronta di un sigillo da mostrare alla banda successiva, una sorta di lasciapassare per avvisare che il poveretto era già stato “spennato”.
Col tempo l’uomo si ingegnò e furono inventate le lettere di cambio. Il viaggiatore portava con sé un esemplare, altre due copie si mandavano tramite mercanti e servi. Il viaggiatore portava con sé anche una lettera d’accompagnamento in cui veniva descritto l’aspetto per avvallarne l’identitè. Purtroppo le informazioni contenute nella lettera di accompagnamento svelavano anche il nome della vittima e, in caso di scippo, i ladri potevano ricorrere al ricatto presso i familiari o la vittima stessa se voleva avere in cambio i preziosi documenti. Iniziarono così i travestimenti.
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Chi viaggiava era costretto a mascherarsi onde evitare i rapimenti e gli scippi, e l’espediente funzionava a detta di un nobile polacco di ritorno dalla Terra Santa, travestito da pellegrino, con quell’abbigliamento non poteva certo sembrare una delle persone più ricche d’Europa.
Le lettere di cambio diedero anche altri problemi. Sir George Courthop racconta che dopo un anno di soggiorno in Francia, recatosi a Ginevra per riscuotere i soldi, non vi trovò nessun incaricato preposto. Passo’ di mercante in mercante finchè il mistero venne svelato: l’indirizzo di riscossione trascritto sulla lettera, era Genova anziché Ginevra! Certi disguidi capitavano già nel XIV secolo!
Solo tra Calais e Roma, si doveva cambiare valuta almeno dodici volte.Infatti il viaggiatore una volta in possesso dei suoi denari, doveva essere ben attento e preparato in fatto di cambio valuta. La difficoltà di conoscere le diverse monete, la scarsa conoscenza delle lingue straniere, facevano pagare ben cara al viaggiatore la propria inesperienza, perdendoci ovviamente nel cambio. Le monete erano moltissime per ogni paese e bisognava controllarle e pesarle ogni qualvolta.
Nel “Manuale per i Pellegrini”, risalente alla metà del Quattrocento, una sorta di primordiale guida turistica, venivano dati diversi consigli pratici ad uso del viaggiatore, in particolare s’insegnava quali fossero le monete valide in circolazione e come evitare le truffe. Era indispensabile conoscere il valore di ogni moneta e con quale materiale era fatta, poiché ognuna avava il suo. La convertibilità della moneta è stata soppressa solo dopo la I° Guerra Mondiale.
Le zecche ufficiali erano incaricate di coniare monete d’oro e d’argento, ma gli spiccioli di rame o leghe affini, venivano coniati dalle numerose officine che dipendevano dalle varie città, soprattutto all’epoca dell’Italia dei Comuni.
Chiunque si trovava delle monete in mano, le selezionava: spendeva prima quelle più leggere, conservando le piu’ pesanti; oppure le raschiava, riducendone la circonferenza, infine c’era chi le fondeva per venderle come metallo prezioso.
Insomma, se oggi ci sembra che l’Euro stia creando un po’ di pasticcio, chissà che baillame era all’epoca!
Comunque, se l’Euro ci confonde, tra un arrotondamento e l’altro, è meglio ridere che piangere, e a questo proposito ci hanno pensando gli Eurogiullari della compagnia teatrale milanese “Nuove idee”, in occasione del debutto della nuova euromoneta, con lo spettacolo allestito presso i circoli di quartiere e i centri per anziani che ha per titolo “Aiuto arriva l’euro!”.
Turisti, non abbiate timore, perché esiste ancora un modo per ricorrere al baratto: basta andare in vacanza al Club Mediterrané! Nei villaggi trionfa l’economia del baratto a base di perline colorate per le spesucce quotidiane, proprio come quelle che alcuni esploratori rifilavano agli indiani.
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