“La vita in Oriente appaga il più profondo degli istinti e il più forte: l’amor proprio. Il giovanotto che lascia un sobborgo londinese per far l’impiegato in India, si trova a far parte di una piccola comunità dominatrice; ha dei servi pronti e docili ai suoi cenni come schiavi, dipendenti dalla pelle fosca, con i quali è suo diritto, anzi dovere, di essere villano. Trecento e venti milioni di indiani lo circondano: egli si sente incomparabilmente superiore ad ognuno di essi, dal coolie al maraja, dall’intoccabile al bramino di razza pura, dal contadino analfabeta allo studioso ripetutamente insignito di lauree europee. Il nostro occidentale potrà essere maleducato, sciocco, ignorante: non importa. (…)Soltanto col ritorno in Europa (…)egli ritrova il posto che gli compete nella gerarchia sociale. Tornato uno dei milioni che vivono nel suburbio londinese, la nostalgia per l’Oriente lo afferra”.
Queste parole furono scritte da Huxley all’incirca nel 1925. Inglese, nato nel 1894 nella contea del Surrey proveniva da una famiglia illustre. Un uomo che non è passato inosservato per il suo stile di vita e i suoi libri. Fin dagli inizi del 1900 si schierò a suo modo, contro la massificazione e l’omologazione umana. Ha sempre viaggiato, in tutti i sensi. Ha percorso le strade del mondo descrivendolo con toni accesi, caustici, irosi, taglienti; aveva una visione della vita ancora più tagliente, anche se l’amava certamente. Affermò che “le guerre e le violenze sono le principali cause di guerre e violenze”. Huxley morì il 22 novembre del 1963, lo stesso giorno dell’assassinio del presidente Kennedy.
Durante un viaggio in India, dinnanzi al Taj Mahal scrisse:
“Io mi sento sempre un poco a disagio quando non riesco ad ammirare qualche cosa che tutto il resto del mondo ammira o per lo meno dovrebbe ammirare. Chi, di noi due, il mondo o io, è lo stupido?” … Il mondo ammira, io non ci riesco. Magari potessi. Qui ad Agra mi sento affetto dallo stesso disagio. Il Taj Mahal è una delle sette meraviglie. Il mio cicerone mi assicura che è forse l’edificio più bello del mondo. Seguendo il suo consiglio, ci siamo fatti condurre alla visione di quella meraviglia alla luce del tramonto. La natura si era messa d’impegno a farla figurare. L’occidente era rosso come si conveniva, arancione, poi giallo e finalmente verde smeraldo, sfumando in un azzurro pallido e puro verso lo zenit. Il Taj Mahal, fu una delusione”.
Questo fu l’effetto a caldo che la visione del mitico Taj Mahal di Agra, in India, provocò al viaggiatore inglese. Le sue parole irritano al principio, almeno chi il Taj Mahal ha potuto vederlo di persona. C’è da chiedersi: ma come fa a dire che non gli piace? se non altro per l’incredibile suggestione che da sempre avvolge quel luogo. Eppure, continuando a leggere le sue parole, appare chiara e tangibile la verità: (…) “questo mio mancato apprezzamento credo sia dovuto al fatto che, i pregi del Taj Mahal sono quelli d’essere costoso e pittoresco. Ciò che la più parte delle persone ama nel Taj, sembra essere questa spesa smodata. E, se ne restano deluse, (…) è perché l’edificio è meno costoso di quello che si erano immaginate. Arrampicandosi su per i tetti scoprono che i marmi non sono massicci, ma rivestono superficialmente una muratura meno dispendiosa. Le guide e i custodi si guadagnano la loro mercede insistendo su quello che il Taj è costato: tutto marmo, dicono, tutte pietre preziose! E’ una truffa!”.
L’eclettico Huxley non ebbe una vita facile. Da ragazzo aspirava a diventare medico, ma una grave malattia gli fece perdere quasi completamente la vista. Si dedicò allora allo studio della letteratura e imparò a leggere libri in Braille e a scrivere a macchina. Con gli anni, grazie all’uso di una lente d’ingrandimento, riacquistò parte dell’uso di un occhio e poté laurearsi nel 1915. Pubblicò recensioni d’ arte, teatro, musica, e vinse la sfida con la malattia, quando incontrò a NeW York il dottor Bates che lo curò in maniera efficace: recuperò quasi totalmente l’uso della vista. Lavorò per il governo, si dedicò all’insegnamento e al giardinaggio.
La passione per le piante culminò durante un viaggio a Calcutta, ospite del celebre istituto di ricerca Bose dove fu testimone di esperimenti sconcertanti. Gli mostrarono come attraverso l’applicazione di aghi e filamenti e la somministrazione di anestetici, le piante avessero un cuore pulsante. Scrisse a tale proposito: “quelle anime sensibili che una visita al pubblico macello è bastata a rendere vegetariane, faranno bene a star lontane dall’Istituto Bose, se non vogliono vedere la lista delle loro vivande ridotta ancor di più”.
Italia, India, Malesia, Filippine, Cina, Giappone, Stati Uniti. I racconti e le impressioni di viaggio di questo uomo nato nel tardo Ottocento, si susseguono: attraversò mari e oceani, ma sposò una torinese, Laura Archera. Accadde nel 1955 e da quel momento la sua vita prese una mistica direzione. Abbandonò la narrativa per approfondire gli studi esoterici, iniziati in India vent’anni prima. Sperimentò su se stesso gli effetti dell’LSd, come strumento, diceva, “per conoscere le capacità della psiche umana”. Curioso fino al paradosso, assetato di vita e ossessionato dal suo mistero, venne apprezzato e criticato. Tacciato di sentimentalismo e applaudito. Non smise mai di cercare la verità. Ma quando tornò dal suo viaggio intorno al mondo, egli scrisse: “prima che io partissi, avreste potuto farmi qualunque domanda attorno alla specie umana, e io, a ognuna avrei dato risposta prontissima. (…) Ma In viaggio, le convinzioni si smarriscono con la stessa facilità degli occhiali, ma diversamente da questi, sono assai più difficili da sostituire”.
Il romanzo che celebrò la fama mondiale di Aldous Huxley fu scritto prima di sottoporsi alla cura che gli riabilitò la vista, era il 1932. Una sua citazione è stata recentemente proposta nel film Star Wars. Chi lo ha visto, nella nuova veste cinematografica, non potrà dimenticare la scena della riproduzione dei cloni. Quel mondo sotterraneo, fatto di cunicoli infernali, traboccanti di trasparenti baccelli contenenti embrioni di cloni: copie perfette, di uomini perfetti. Il nostro viaggiatore si sarebbe meravigliato nell’osservare la trasposizione di quanto aveva scritto tanti anni prima. Perché Il Mondo Nuovo, Aldous Huxley lo aveva già immaginato.