– La spedizione di Shackleton
– L’oro blu
– Il Trattato Artico
– Allestire una spedizione polare
– L’allestimento della spedizione di Shackleton
– Quartieri d’inverno
– Vita quotidiana degli esploratori al Polo Sud
– La Noia Polare
– Il coraggio
La spedizione di Shackleton
Il 9 gennaio del 1909 l’esploratore inglese Ernest Henry Shackleton scriveva sul diario di viaggio: “ultima giornata di avanzata al sud. Abbiamo chiamato a raccolta le nostre forze, eccone il risultato: 88°e 23’di latitudine sud”. Mentre l’Union Jack oscillava rigida all’urto della brezza gelida che ci aveva penetrati sino all’ossa, guardammo a Sud, ma non scorgemmo che la bianchissima pianura di neve. Non siamo che dei minuscoli punticini neri, che si trascinano con grande lentezza, con grande disagio, sulla vasta pianura bianca e adunano le loro poche forze per istrappare alla natura segreti rimasti inviolati attraverso millenni. Siamo certi che la meta che non abbiamo potuto toccare deve trovarsi su quest’altipiano. Vivo è il nostro rincrescimento, ma abbiamo la coscienza di aver fatto quanto era in nostro potere”.
L’oro blu
Quante volte è capitato di apprendere dalla cronaca che in alcune zone del mondo, normalmente dal clima temperato, le temperature invernali si abbassano così tanto da rappresentare un record? Nel Sud d’Italia la neve abbonda tanto da sembrare la Lapponia. Al Nord si lamentano: costretti a sparare neve finta e le cronache hanno anche riportato che un comune montano del nord Italia, per garantirsi il tutto esaurito nelle vacanze natalizie, è riuscito a comprarla da un comune che ne aveva troppa!
Ma la vendita della neve non dovrebbe stupire, stravaganze del nuovo millennio. Quello che dovrebbe preoccuparci è la mancanza d’acqua, il bene più prezioso per la civiltà umana e per la terra, tanto che la stimata carenza prevista per il 2050 sta scatenando guerre nel mondo: si combatterà in un futuro non lontano per l’accaparramento dell’oro blu.
Ma il problema che oggi pare essere ormai un monito, si sta già studiando da molti anni. Basti pensare che esiste al mondo un continente dove il ghiaccio occupa il 98% della superficie e dove dagli anni ’70 un gruppo di scienziati e studiosi sta progettando di trainarli verso le terre bisognose di acqua. La terra dove alcuni Iceberg sono grandi come la provincia di Bergamo e a parte la follia del progetto, il problema è di natura giuridica: ovvero come stabilire i titoli di possesso del ghiaccio e il loro status legale durante la navigazione?
Questo continente è l’Antartide, il luogo più freddo della terra.
Il Trattato Artico
Gli Strati di ghiaccio perenne che ricoprono l’Antartide sono spessi in media 2000-2600 metri, e in taluni casi anche 4000 metri. Le temperature non superano mai lo zero e scendono fino a -90° gradi. I venti costanti, raggiungono talvolta i 300 km all’ora. Pinguini, foche, gabbiani e balene sono l’unica forma di vita presente, a parte rari licheni o muschi. Bufere, freddo, vulcani attivi come il Monte Erebus e strani fenomeni ottici, evocano le immagini mai viste dell’inizio del mondo. E’ questo lo scenario che vide Shackleton quel 9 gennaio di novantatré anni fa.
La storia della scoperta del Polo Sud è però recente, infatti la spedizione inglese non raggiunse il Polo, si fermò a poche miglia, ma la spedizione norvegese di Amundsen datata 1912 a bordo del Fram compì l’opera, seguita dopo solo un mese dalla spedizione di Robert Falcon Scott. Col Trattato Artico, entrato in vigore nel 1961, dodici paesi riconobbero l’interesse di tutta l’umanità per l’Antartide, vera ricchezza per l’uomo, auspicando la ricerca per soli scopi pacifici, affinché non divenga mai teatro od oggetto di discordia internazionale.
Allestire una spedizione polare
Organizzare una spedizione verso terre ignote e in questo caso antartica, era uno sforzo colossale. Questioni logistiche e finanziarie richiedevano mesi se non anni. Shackleton annotò: “Dopo che la spedizione ha lasciato il mondo civile, non havvi più modo di rimediare ad un’omissione, né di procurarsi un oggetto qualsiasi eventualmente dimenticato. Si suppone, è vero, che l’esploratore sia un individuo abile, capace di far fronte alle circostanze coi materiali di cui può disporre”.
I preparativi: reclutamento di uomini tra cui biologi, geologi, marinai, ufficiali di bordo; reperimento delle provviste di cibo, della strumentazione scientifica, del vestiario e quant’altro da stipare all’interno della nave. Le provviste di cibo erano calcolate per un periodo di due anni più le scorte, definite supplementari, calcolate per 38 persone e per la durata di un anno, in caso di emergenza.
L’allestimento della spedizione di Shackleton
Per la spedizione partita nel 1907, vennero costruite appositamente 15 slitte, acquistati alcuni cavallini della manciuria e una muta di cani siberiani. E poi c’erano casse zeppe di vestiti, tra cui ottanta paia di stivali finnesko: “sono fatti con la pelle del capo della renna maschio, col pelo rivolto all’esterno. Sono grandi abbastanza per contenere il piede, parecchie paia di peduli, nonché una provvista di foglie di senna. Trattasi di un erba secca, dalla lunga fibra, ottima assorbente dell’umidità. “. Infine venne acquistato il NIMROD, “la nave era piccola e vecchia, ma di robusta costruzione. Odorava fortemente di olio di foca, era attrezzata da goletta”. Sul Nimrod vennero imbarcate 2500 casse VENESTA, fatte con legno di betulla e cemento impermeabile. Infine venne caricato il materiale per erigere la baracca dei quartieri d’inverno, ovvero l’unico rifugio possibile per gli esploratori, durante il lungo inverno artico che li costrinse sulla banchisa polare prima dell’assalto al Polo Sud.
Quartieri d’inverno
La baracca era composta da pareti in legno di abete, rivestite da lamine di ferro e sarebbe stata eretta sui ghiacci ed ancorata grazie a robusti tiranti in ferro. La cucina era attrezzata con due fornelli da tenere accesi giorno e notte, più una stufa a carbone, che avrebbe garantito la temperatura interna di cinque gradi.
“Ho fatto il possibile per provvedere ad ogni evenienza ed il nostro armamentario comprendeva pura una macchina da scrivere Remington e due macchine per cucire Singer. Eravi un grammofono per farci un po’ di musica e un torchio per stampare. Non mancavano neppure gli “hockey sticks” e l’occorrente per partite di football”.
Ma cosa significava a quei tempi vivere al Polo Sud in completo isolamento?
Vita quotidiana degli esploratori al Polo Sud
Il lavoro alacre dell’equipaggio si alternava tra brevi escursioni, inclusa l’ascesa sul Monte Erebus, rilievi geografici, studi meteorologici. Ma presto arrivò la notte antartica e iniziò la vita ai quartieri d’inverno. Per far fronte ai lavori domestici, vennero stabiliti dei turni tra i componenti della spedizione, compreso quello del guardiano di notte che capitava ogni tredici giorni. Non era un compito sgradevole come possiamo pensare. Era indispensabile per garantire l’accensione della stufa, badare ai cavallini ed ai cani. Ed era il momento giusto per farsi il bucato, per scrivere le relazioni, rammendare i vestiti, per rilevare la lettura degli strumenti meteorologici, e magari fare anche un bagno… La giornata iniziava alle otto, dopo la colazione ogni membro della spedizione espletava i compiti ufficiali, poi al termine delle attività, verso le cinque pomeridiane ci si dilettava in giochi a carte o alla lettura di libri, alternati ad abbondanti tazze di caffè bollente fino all’ora di cena. Chi era di turno la notte, vegliava fino alle sei del mattino, avendo cura di lasciare l’acqua calda pronta per la colazione dei compagni e poi andava a riposare.
Durante la sosta invernale il gruppo non conobbe la tanto temuta “noia polare” e questo accadde grazie alla stesura del primo libro che sia mai stato scritto, stampato illustrato e rilegato nella regione antartica: Aurora Australis. Nelle ore libere alcuni uomini della spedizione raccoglievano le memorie dei compagni e con l’uso del torchio iniziarono a stamparle. Non certo senza difficoltà, tanto che Shackleton ricorda che bisognava riscaldare l’ingranaggio della macchina da stampa mediante una lampada ed i caratteri con una candela perché l’inchiostro restasse sufficientemente fluido. L’acqua occorrente alla riproduzione di illustrazioni era salata, ma riuscirono comunque ad ottenere un risultato attendibile. Per copertina utilizzarono il legno ricavato dalla casse Venesta. Shackleton riporta” Il libro si compose complessivamente di cento venti pagine e concorse senza dubbio a proteggerci dalla terribile noia durante la notte polare.
La vita ai quartieri d’inverno lentamente proseguiva, e se da un lato era piacevole, fu però estenuante per la tensione emotiva che dimorava negli uomini, consapevoli dell’impresa che avrebbero dovuto compiere. Li univa la gioia e il fascino che un progetto comune esercita. Poi arrivò la primavera e il viaggio poté riprendere.
Il freddo, la stanchezza, l’assoluta necessità di ritornare vivi a casa non devono far pensare al fallimento, ma alla vittoria verso l’ignoto. La spedizione Shackleton aprì così il varco alle spedizioni successive.
Il coraggio
Quante volte leggiamo che la laguna di Venezia è gelata, che è stata vietata la navigazione del Danubio, oppure che la neve è scesa sul Partenone. Chi avrebbe il coraggio di partire senza sapere se vi sarà ritorno? Oggi gli esploratori sanno quasi sempre dove andare, possono contare su attrezzature all’avanguardia, radar, telefoni satellitari, insomma, senza nulla togliere a quanti ancora oggi esplorano la Terra, quel che resta d’ignoto, bisogna ricordare che un tempo non si avevano cognizioni geografiche e ci voleva tanto coraggio per sfidare l’ignoto.
Intanto,donne e uomini del nuovo millennio, nelle lunghe giornate d’inverno andiamo alle nostre fabbriche, ai nostri uffici, ai banchi di scuola, alle nostre fatiche quotidiane. Questo sì è l’inizio di una vera noia polare, fino al comparire della primavera.