“New York, aprile 1932. Calore soffocante nelle strade, agitazione nelle banche, agitazione nelle ambasciate:c’è la rivoluzione in brasile. Rivoluzione in Cile.Voci di colpi di stato in Bolivia e in Columbia, guerra nel gran Chaco. Tutte queste terre sono baluardi dell’America nella lotta per le materie prime mondiali. Il “continente dell’avvenire” è in agitazione. Wall Street vuole avere informazioni precise ed obiettive, rapporti di un osservatore che non ha interessi in gioco, capitali da difendere, amici da proteggere. Uno dei più grandi istituti di emissione americano volle avere un giorno la testimonianza oculare di un disinteressato. Ricevo una telefonata, devo correre al n. 51 di Wall Street. Lavorerò per una banca con un nome che fa rabbrividire il mondo. E’ questa finalmente la grande occasione che farà la mia fortuna? Raggiungo l’indirizzo, entro in una grande camera arredata con mobili georgiani, mi trovo davanti a un uomo dai capelli bianchi che si tormenta i baffi:con poche parole precise mi dà le direttive del mio viaggio. Aeroplano per il Messico, aeroplano per l’America centrale, volo in un mattino incredibilmente chiaro con la visione di due Oceani. I miei mandanti si interessano momentaneamente di pietre preziose, oro e platino. La mia destinazione è Bogotà e da qui proseguirò per Muzo, dove si trovano le più ricche miniere di smeraldi del mondo”.
Cosi comincia uno dei racconti-testimonianza di Thomas Daring, un viaggiatore particolare: un cercatore di Tesori. Negli anni trenta del 1900, Daring (forse uno pseudonimo), venne assoldato dal più potente Istituto di Credito americano, con il compito di osservare, produrre informazioni, scovare i cosiddetti tesori della natura. Dall’analisi delle sue relazioni di viaggio, la compagnia decideva dove e come investire i propri capitali: sfruttamento di risorse naturali, acquisizioni di diritti per ricerche minerarie, sfruttamento di mano d’opera a basso costo, sfruttamento di vite umane. Thomas Daring ha dedicato dieci anni della sua vita alle ricerche del platino, dell’oro, del tungsteno, del radio, delle pietre preziose, dello zinco, del rame, della bauxite, ambra grigia. Un uomo, come tanti altri, che ha vissuto al di là della vita quotidiana. Testimoniando la sua eccezionale esperienza, non così lontana dalla realtà egli ha scritto: “no, non avrei potuto girare più volte il mondo con il denaro altrui, se una lotta spietata per le materie prime e l’avidità di nuovi mercati non scuotesse il mondo. Fui per dieci anni un soldato di questa battaglia, uno dei tanti che cercavano fortuna: un cercatori di tesori”. Daring, a modo suo, ha descritto quel mondo, magari calcando un pò la mano, abusando di episodi sentiti dire, o forse no. Comunque ha ritratto un mondo, che sembra finto, assurdo, impossibile da esistere, eppure, pensando ai tanti oggetti che ci capitano tra le mani nelle nostre azioni quotidiane, è tangibile che provengano da quei “tesori”. Oggi li usiamo con naturalezza, ma sono fatti di materie prime che qualcuno ha cercato, studiato e scoperto; arrivano a noi proprio perché esistono e sono esistiti uomini come Thomas Daring.
“Muzo, nel 1932 era un sudicio villaggio che giaceva tra i monti, in una delle piu’ remote valli colombiane, a nord di Bogotà. Quando, nel 1764, lo spagnolo Jose’ Antonio de Villegary Avenado riusci’, torturando gli indigeni, a farsi svelare la posizione delle miniere, Muzo era abitata da trentamila uomini: solo tremila ne sono rimasti. Tutta la regione era sbarrata con reticolati e posti militari. Si poteva entrare nella zona delle miniere soltanto se accompagnati da un impiegato. Finalmente un posto di vigilanza, davanti al quale un gruppo di indios cuoce il desinare: donne, uomini, bambini, cani , ponchos dai colori vivi e cappelli a cono. Un gruppo di indiani che ha portato con se’ centinaia di polli e attende masticando foglie di coca; i polli sono posti sotto controllo statale: si puo’ torcere loro il collo solo con il consenso e davanti agli occhi dell’amministrazione. Perché sono minatori statali”.
Le parole di Daring stupiscono, attirano l’attenzione, fanno riflettere e non si può non essere catturati dal suo modo di scrivere, di narrare. A poco a poco che il racconto si districa, nasce uno spontaneo stupore, e pagina dopo pagina, ci si sente disarmati, all’improvviso si comprende, ci viene svelata una verità, è come essere stati ciechi e sicuramente poco osservatori di quanto ci accade attorno. Ma il racconto prosegue, cosa vuol dire che i polli sono dei minatori statali?
“I polli di Muzo beccavano da secoli le schegge di pietra o le pietre più piccole per cui quasi tutti i gozzi erano pieni di questi piccoli smeraldi. Quando gli spagnoli cominciarono a sfruttare le miniere di smeraldi, si adoperavano macchine primitive e si prendevano solo le pietre grosse e gli smeraldi del gozzo venivano usati da quando potevano essere lavorati e contemporaneamente le pietre grosse erano diventate rare. La carne apparteneva al proprietario, il contenuto del gozzo allo stato. I polli non potevano abbandonare il territorio delle miniere”.
“Vicino alle miniere mucchi di rifiuti, reticolati e ancora posti militari, capanne in lamiera, draghe cigolanti e un cielo che sembrava di vetro fuso. Caldo, un’aria sottile, un’altitudine che spezza i nervi. Le miniere abbandonate mostravano buche profonde dalle pareti a picco e il cui fondo era coperto da uno strato d’acqua grigio verde. Accanto ad esse si aprivano cave nelle quali potevano lavorare soltanto i neri più tenaci perché il calore che dominava durante il giorno, e il freddo glaciale della notte, l’acqua melmosa e la polvere sollevata dalla draghe, rendevano la vita un martirio. Giorno e notte si tritava il quarzo, la pirite e la calcite, minerali che contengono le preziose pietre verdi. Un frastuono ininterrotto tuonava nelle miniere. Centinaia di uomini lavoravano a Muzo, sventrando il terreno, abbattevano la foresta con la dinamite: uomini mezzo nudi accanto alle loro mitragliatrici. Geologi, cercatori di tesori, avventurieri. I nuovi rinvenimenti dovevano essere consegnati in appalto a società private. Lo stato non poteva più vendere tutti gli smeraldi trovati dai suoi schiavi”. Per questo Thomas Daring si trovava a Muzo, per trattare l’acquisizione del cosiddetto claim, diritto allo sfruttamento del territorio, ovvero del giacimento.
Consapevoli a questo punto di uno di quegli aspetti della vita che non si vorrebbe forse conoscere, la curiosità diventa legittima; l’attualità sconcertante. Quante volte si legge sui giornali, attraverso reportage di viaggio, quali sono le condizioni disumane in cui vivono gli uomini che lavorano nelle miniere Sudafricane o Sudamericane? Storia che appartiene solo al passato? C’è da sperarlo, ma l’attualità non parrebbe dello stesso parere.
“Negli uffici protetti dalle inferriate come banche americane, si trovano gigantesche casseforti d’acciaio, nelle quali erano custoditi cuscini di feltro. Quando si aprivano, si vedevano smeraldi verdi e altri quasi incolore. Mezzo chilo di queste pietre costava all’epoca un milione di dollari e la vita di circa sessanta uomini, ma questo non lo si diceva. Non era permesso fare fotografie, ma quando la porta di questa camera proibita si apriva per caso, si restava meravigliati a guardare una sala operatoria modernissima. Una clinica per i minatori? Già, qualche volta uno degli uomini veniva operato li dentro, da un medico esperto e secondo i metodi più moderni, naturalmente, soltanto nel caso che la radioscopia avesse confermato che il lavoratore sospettato aveva ingoiato una pietra. Era l’unico mezzo per impedire i furti”.
Muzo rappresentava all’epoca, non così lontana dal presente, l’altra faccia del benessere, quella che non si vuole vedere. Si lotta per i metalli che sono alla base di tutte le maggiori industrie, che costruiscono automobili ed aeroplani, flotte e motori Diesel, o il cotone che veste nove decimi dell’umanità. Ma si lotta con lo stesso accanimento per cose che non hanno nessun valore reale. “Chi investe capitali in pietre preziose commette un delitto: tesaurizza il suo capitale sottraendolo ad un lavoro produttivo”. Con questa riflessione di fondo termina la testimonianza di un uomo che ha dedicato dieci anni di vita inquieta alla ricerca di fortuna. Egli si domanda: “furono le avventure e i grandi viaggi ad allettarmi? Non so. Volli studiare quegli uomini che con le loro sofferenze e speranze, con il loro lavoro, danno ai grandi di questa terra la possibilità di essere potenti. Ho voluto parlare di uomini che come me sono stati cercatori di fortuna del proprio tempo”.
Quali sono oggi, i tesori del nostro tempo e, quanti cercatori sono in viaggio?