A tutti coloro a cui è capitato almeno una volta di alloggiare in albergo durante una vacanza, sarà anche capitato d’imbattersi nei riti d’intrattenimento post serale. Partite interminabili a carte, watch television o concertini danzanti, magari il karaoki. L’Astrolabio ha cercato quindi di scoprire come i viaggiatori s’intrattenevano nelle locande e, scartoffiando tra un libro e un altro, alcuni racconti che risalgono al Seicento dimostrano che nelle locande mancava la televisione, la società dei viaggiatori dell’epoca moderna, non disdegnava la compagnia e c’erano molti passatempi.
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Allora come oggi, i passatempi serali nelle locande non sempre trovavano gradimento da parte dei turisti che però si vedevano costretti a prendervi parte. Nei Paesi Bassi per esempio, Lo Schaffdrunck, deteneva il primato. In Germania, e soprattutto in Polonia, c’era invece l’abitudine dei brindisi alla salute: più persone c’erano, più bevevano. Poi c’era il gioco dell’Oste, basato sull’estrazione di carte, ma il concetto era identico, chi si beccava la carta dell’Oste, pagava per tutti. Partecipare alle bevute post-cena era praticamente un obbligo sociale e perfino gli inglesi si sarebbero volentieri defilati se non fosse temevano di offendere i compagni. Lo stesso Moryson, noto viaggiatore, si lamentava di tale costume il cui risultato, diceva, “era non solo di prendersi delle sbornie colossali, ma di spendere un patrimonio”.
Anche se nella vita quotidiana prevalevano giochi semplici, come quello dei dadi, il Seicento sviluppò in modo eccellente, un raffinato sistema di giochi di società, fatti da simboli e parole che richiedevano una notevole cultura letteraria. Giochi enigmistici e indovinelli abbondavano nelle locande. C’era anche l’abitudine di raccontare storielle,soprattutto erotiche. Vi ricordo che all’epoca le donne viaggiatrici erano a dir poco rare. Se nelle locande ci si limitava a raccontare, fuori le locande i viaggiatori s’impegnavano a toccare. Così fa intendere Sebastiano Locatelli, un pio sacerdote definito da alcuni storici come barocco e sorprendente. Egli annotò sul diario che durante un viaggio che lo portò in Francia, venne invitato assieme ad altri viaggiatori nella casa di alcune dame del luogo e dopo cena giocarono a mosca ceca! Era un modo per riuscire a sfiorare le mani o le spalle nude di una donna. Non ho trovato aneddoti circa quello che accadde dopo, ma posso dirvi che il Locatelli, reduce da quella serata mondana, scrisse sul taccuino: “questa notte ho dormito bene, per quanto riguarda gli altri non lo so, ma dubito. Sembrava infatti che fossero molto zelanti in quel gioco e desiderassero ricavare da esso tanto gaudio quanto fosse pubblicamente possibile”…
Chi non prendeva parte ai giochi di società, si dilettava invece negli scherzi e nelle conversazioni. Sugli scherzi niente di nuovo rispetto al presente. All’epoca erano i padroni delle locande che ne subivano le conseguenze. Uno degli scherzi piú in voga, consisteva nel prenotare una cena per molte persone e poi nessuno si presentava: a quel punto la cena veniva divisa tra i presenti, che mangiavano ovviamente a ufo! Riguardo alle conversazioni invece, esse traevano spunto dalle differenze culturali dei viaggiatori. Si sviluppò la moda d’intrattenere conversazioni-scherzo, tendenti a ridicolizzare usanze, abitudini e peculiarità del paese di provenienza. Si inventarono dei veri e propri modi di dire, massime stereotipate. Col tempo tali conversazioni assunsero una forma di laconismo di saggezza popolare e diedero origine anche ad un genere letterario minore. Viaggiando, di locanda in locanda, non solo si acquisivano i modi di dire, ma anzi, maggiore era la conoscenza più si dimostrava di aver viaggiato molto.
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Ecco come vennero inventati tanti laconismi che ancora oggi spesso sentiamo dire: Leida la bella, Deft la ricca, Torg la cattolica. Gli abitanti di Bruxelles mangiatori di capponi, gli olandesi villani, e quelli dei paesi bassi teste di lepre. E poiché mangivano tanto burro, vennero definiti “musi di burro”. Da notare che alcune testimonianze narrano come non potessero fare a meno in viaggio del loro cibo preferito e che per risparmiare, avevano l’abitudine di portarsi da casa molte scatole di burro: da qui l’appellativo inglese “butter-boxes”. Anche le città italiane vennero fregiate in tal senso e la conoscenza degli aggettivi che le caratterizzavano era assai varia, sicuramente piú poetica: Dai manuali di conversazione, che col tempo riportarono tali modi di dire, si apprendeva: Roma, la santa, Padova la dotta, Venezia la ricca, Firenze la bella, Milano la grande, Bologna la grassa, Ravenna l’antica, Napoli la gentile, Genova la superba.
I detti che circolavano nelle locande erano molti e in alcuni casi ai viaggiatori piaceva esagerare, quindi Bologna la grassa, diventava: Bologna la grassa, Padova la passa. Ma l’uso frequente di tali forme idiomatiche, divenne consuetudine, creando qualche confusione. Alcuni viaggiatori non sapevano piú dove finisse il nome di una città e dove iniziasse l’aggettivo. Si dice che il segretario dell’ambasciatore inglese delegato per l’incoronazione di Carlo V a Bologna, nel 1529 scrisse sulle sue missive “Bologna la grassa”, non sapendo che il nome giusto era Bologna. Ancora un secolo piú tardi, nel 1622, il principe Condè annotò sul diario, “pernottato a Bologna la grassa, nella locanda del Pellegrino”.
Poi arrivò la moda di raccontare barzellette, ovvero le facezie, che diedero origine alle “raccolte di facezie” con tanto di pubblicazione. Ma il senso dell’humor nel XVI e XVII secolo, non era esattamente lo stesso di oggi, non penso farebbero ridere nessuno. Le facezie erano grette, e talvolta più che humor si trattava di horror, tanto erano grottesche, ve le risparmiamo. Valga d’esempio la più innocua che diceva:
” un marinaio torna dal lungo corso durato tre anni e trova la moglie con un bambino di venti mesi.
– Di chi è questo bambino?
La moglie risponde umilmente,
– Dio me l’ha mandato durante la tua assenza.
– Se è così allora lo riconosco, ma altri bambini digli a Dio che se li tenga per se…”
Bè, erano proprio altri tempi…però erano saggi a modo loro, come si poteva negare l’evidenza?
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