– La rompighiaccio Vega
– 41.000 chilometri di mare
– Inverno artico
– La vita invernale
– Effetti ottici
– Primavera
– Liberi
– L’impresa è compiuta
Nel 1878 la rompighiaccio Vega, sotto il comando dello svedese Erik Nordenskiöld, salpò per una delle esplorazioni più importanti della storia, il Passaggio Nord Est. L’ufficiale di bordo era un italiano, Giacomo Bove.
La Vega carenata con spesse lamiere, partì il 4 luglio del 1878 da Goteborg con l’obiettivo di aprire la strada ai commerci tra l’Europa e il Pacifico. Il passaggio a Nord Est segnò una svolta nelle rotte navali fino a quel momento seguite. Compito della spedizione era di scoprire se da un punto a Nord dell’Europa si potesse via mare, costeggiare la Russia e la Siberia e raggiungere l’Asia, attraverso lo stretto di Bering. Dimostrando che tale rotta di navigazione era possibile, si sarebbe aperta una strada molto più breve che avrebbe sostituito la circumnavigazione dell’emisfero meridionale. Il passaggio Nord Est voleva dire avviare nuove esportazioni di prodotti vegetali e minerali fino a quel momento confinate nei vasti territori inesplorati. La Vega partì dalla Scandinavia, costeggiò la Russia e la Siberia, attraversò lo stretto di Bering, vicino all’Alaska e raggiunse il Giappone, poi la Cina. Quindi il viaggio proseguì, circumnavigò l’India e attraverso l’Istmo di Suez approdò nel porto di Napoli dopo aver percorso 41.000 chilometri.
L’ostacolo a tale impresa si chiamava Capo Tchelyouskin, descritto come una titanica testa di belva protesa verso settentrione. Molte spedizioni tentarono di superarlo, ma le forti e gelide correnti avevano fino a quel momento, reso l’impresa impossibile.
La Vega non partì da sola, al suo seguito c’era la baleniera Lena, che venne utilizzata come nave appoggio e per fare rilievi astronomici e osservazioni magnetiche. La Lena sebbene piccola era molto resistente e adatta a scandagliare i fondali marini per aprire la strada alla grande e imponente Vega. Giunte all’arcipelago della Nuova Siberia, le due navi si divisero, la Vega doveva proseguire da sola.
“Il ghiaccio si fa sempre più solido, si odono tuoni lontani, dove il pack si comprime e si spacca. Si formano catene di hummocks, la pressione contro la chiglia della Vega è fortissima”.
Quattro mesi dopo la partenza, l’inverno artico strinse definitivamente la Vega sul pack bloccandola a sole poche miglia dallo stretto di Bering. Il rumore dei ghiacci che si compattavano era terrificante, paragonabile ad un terremoto o all’eruzione vulcanica. Cominciarono a quel punto i preparativi per la vita invernale, la sosta durò 294 lunghissimi giorni.
Gli ufficiali si allenavano a vivere fra i ghiacci, sfidando la mobilità dei lastroni, per combattere il freddo e affrontare la lunga sosta invernale. Si raccattava la legna in grandi cataste prima che fosse ricoperta dai ghiacci, si cercavano provviste di acqua dolce, si andava a caccia di orsi e si studiavano le abitudini del popolo Tchuski. Si riordinavano gli appunti scientifici presi durante la navigazione, si faceva manutenzione agli strumenti di misurazione affinché tutto fosse pronto per la primavera. Bisognava far passare il tempo. Così ogni occasione era buona per organizzare piccole festicciole.
“sabato 5 ottobre, fu improvvisata una festa notturna: la scena era veramente fantastica: sul campo, che si stende bianco a sinistra del bastimento, si eran messi festoncini di lumi colorati, nel mezzo il cuoco rumava col mestolo una colossale pignatta di punch; e tutto intorno, la pista per i pattinatori, che scivolavano e capriolavano a piu’ non posso. C’era persino un organetto; ma le arie dovevano gelare, perché qualche volta, per quanto si girasse la manovella a tutta velocità, non si riusciva a tirar fuori una nota”.
La temperatura si faceva sempre più rigida, passando in pochi giorni da -20 a -30, fino a 40 gradi sotto lo zero. Il comandante fece scavare un canale d’acqua su un fianco del bastimento, per evitare che la pressione del pack stritolasse la chiglia. L’atmosfera del Nord è ingannevole, riserva fenomeni strani e strabilianti effetti ottici. Giochi di luce, riflessi di ghiaccio, albe boreali, lune e soli sdoppiati, triplicati.
“15 gennaio: oggi ho veduto un’aurora boreale. Alle sette pomeridiane si è annunciata con una fittissima nebbia che alzatasi rapida, ha fatto balenare all’orizzonte un primo raggio luminoso. Poi a seguire raggi giallo e rossiccio, saettavano nel cielo, così intensi e rapidi che parevano prodotti da una gigantesca batteria elettrica, come un fulmineo vortice. Il cielo era in continuo movimento. Tutto era raggi e luce e mutava senza tregua di intensità e colori, azzurro e arancio. Il riflesso sulle montagne di ghiaccio le illuminava di tutte le tinte del cielo. Alle nove, la nebbia si riabbassò, con la velocità con cui si era levata, e lo stupendo spettacolo finì”.
Trascorse tutto il mese di febbraio, l’equipaggio della Vega si preparò all’arrivo della primavera per proseguire il viaggio. Venne smontata la scala di neve che collegava la rompighiaccio alla baia e la nave fu riassettata. Ma bisognava ancora attendere, i blocchi di ghiaccio imprigionavano ancora la nave ed era impossibile procedere nella navigazione.
Il 18 luglio del 1879 alle tre pomeridiane, si spaccarono i primi blocchi di ghiaccio. Si ritrassero gli ormeggi a prua: dopo mesi di prigionia, l’allegria a bordo era generale, si dimenticarono la fatica e gli stenti.
“…alberetti ghindati, vellacci incrociati, manovre passate, pennoni orientati, assicurata la stiva, incatramate le manovre fisse, preparati gli strumenti nautici”.
La mano dell’uno cerca la mano dell’altro: due minuti cancellano dieci mesi di privazioni”.
La Vega doveva affrontare l’ultimo ostacolo, il più impervio. Oltrepassare il Capo Orientale.
Dal diario di Giacomo Bove
“20 luglio 1879,è mancato veramente un pelo che questa mattina io non facessi una vera frittata.
Ero di guardia con una nebbia che stentavo a vedere la punta del bompresso. Tutto a dritta e avanti con forza! Salgo sull’alberatura: non ho mai visto uno spettacolo più imponente. Davanti a noi vi era un bastione che si elevava a 3.500 piedi inglesi e reggeva sulla sommità pilastri e colonne basaltiche. Tremende le valanghe di pietra, quando la roccia si contraeva per effetto del freddo; e rovinose anche le valanghe di neve: tutt’intorno mare poco profondo, acqua fredda, corrente verso Sud.” Ma con abile manovra, la Vega supera il Capo Orientale, alza le bandiere di gala e spara cinque colpi di cannone.
L’impresa epica era stata compiuta, la Vega proseguì a vele spiegate, oltrepassò lo stretto di Bering. Una nuova pagina di storia era stata scritta.