“Durante la guerra civile nel Congo degli anni Sessanta, racconti di diffuse pratiche cannibalistiche e altre atrocità scandalizzarono il mondo occidentale. Ma in realtà nell’Africa occidentale il cannibalismo è stato praticato apertamente. Nel 1897 Sindney Hinde scriveva “quasi tutte le tribù del bacino del Congo sono, o sono state, antropofaghe e in alcune questa usanza è in aumento”. Hinde era impressionato dal fatto che nel Congo il cannibalismo si presentasse scopertamente come tale e scriveva:
“gli indigeni vengono spesso a bordo con zanne d’avorio nell’intento di acquistare uno schiavo, affermando che ora c’è poca carne dalle loro parti”. Nel Congo, il cannibalismo non aveva alcun rapporto con il rituale, la religione o la guerra: era puramente una preferenza dietetica…”
Con queste parole il celebre Michael Crichton contestualizza il romanzo Congo, la cui trasposizione cinematografica ha lasciato alquanto a desiderare, mentre il libro è mozzafiato. Congo è un romanzo di fantasia, ma elaborato su nozioni scientifiche e relazioni di viaggio, la cui storia, sviluppata nel cuore dell’Africa Nera è intrisa di suspance. Non deve stupire se l’introduzione è lasciata alle parole dell’esploratore Henry Morton Stanley, datate 1887: “Quanto maggiori sono la mia esperienza e la mia conoscenza della natura umana, tanto più mi convinco che la più grande parte dell’uomo è puramente animale.”
Senza la pretesa di essere esaustivi circa l’argomento, tratteggiamo le linee guida sull’argomento del Cannibalismo, suggerendo al lettore di approfondirne i contenuti in modo assai più scientifico e storico attraverso le tesi e gli studi di molti antropologi che nel corso della storia, hanno contribuito alle conoscenze che oggi abbiamo sull’argomento.(v. bibliografia).
Per una sintetica introduzione comunque, possiamo iniziare col prendere in considerazione come le prime voci sulla presenza di cinocefali nel Nuovo Mondo, ovvero di figure mitologiche di uomini con la testa di cani, dediti al cannibalismo, risalgono a Cristoforo Colombo che nel Diario di Bordo del suo primo viaggio alle Indie Occidentali scrisse: “lontano di lì, (Cuba), c’erano uomini con un solo occhio, e altri con muso di cane, i quali mangiavano gli uomini e, catturando qualcuno gli tagliavano la testa, ne bevevano il sangue e gli tagliavano i genitali…” Il navigatore genovese non era certo un visionario, e il cinocefalo altro non era che la trasposizione di un immaginario collettivo europeo che derivava dalla infelice traduzione dei racconti nativi, dando così origine alla leggenda. Colombo riportò solo una voce, ma, come in tutte le leggende, qualcosa di vero c’era…
Ritenuti feroci i Cannibali, da Caraibi, Caribi, canibi, i nativi venivano descritti come mangiatori di carne umana soliti a decapitare le loro vittime. A questo punto occorre fare una puntualizzazione: l’obiettivo principale della conquista del Nuovo Mondo, prevedeva la completa presa di possesso delle terre da poco esplorate e dei suoi abitanti. Quel mondo però era ritenuto ostile, poiché ignoto. I rappresentanti del mondo occidentale, a confronto con le culture native, percepirono l’altrui umanità come “diversa”,quindi, indissolubilmente legata a concetti di bontà e malvagità. Su queste basi, proliferò l’immaginario da parte di esploratori e viaggiatori del passato, perché ciò che non si conosceva faceva paura. E s’ingigantiva, si esasperava la realtà, per esorcizzare quella paura. Per l’Occidente essere cannibale significava peccato mortale, per le tribu’ native era un sacrificio agli dei. In sintesi un abisso culturale.
Claude Lèvi-Strauss nelle sue ricerche, ha confermato l’esistenza del cannibalismo, in particolare lui ebbe modo di analizzare gli studi compiuti nel XVI secolo sulle comunità Tupì-Guarani. Rilevò che in occasione del sacrificio e delle successive operazioni di antropofagia, esisteva una gerarchia sociale: sesso, età, ruolo, risultavano determinanti nella spartizione del pranzo…non solo… Sulla base di un disegno realizzato durante la seconda spedizione di James Cook, nel 1774, si evidenzia come le comunità eliminassero le persone ritenute pericolose per la stabilità e l’ordine sociale, mantenendo nei termini della legalità l’esigenza di sacrificare agli dei chi si era macchiato di tali colpe.
Perché il rito antropofago venne poi demonizzato dall’uomo bianco? Non solo per paura. Se durante il primo approccio il timore fu una naturale reazione, in un secondo momento s’interpretò il rito nativo come una mancanza di umanità. Ma su che base? Sull’assenza di una forma canonica di religione. Bisognava allora assoggettare gli indigeni alla cristianità, renderli consapevoli della differenza tra il bene e il male, ma in realtà erano le ricchezze l’obiettivo finale. Esacerbando e stravolgendo il significato dei riti indigeni, era più facile trovare consensi tra l’opinione pubblica europea, giustificando così una delle barbarie più cruenti della storia delle esplorazioni ovvero, l’assoggettamento per fini di lucro, di popolazioni inermi, sul loro stesso territorio. Bartolomè De Las Casas, padre francescano, si oppose fermamente alla conquista ottenuta dagli Spagnoli. Si oppose ai massacri e alle guerre e nelle sue opere cercò di persuaderli a un’azione pacifica nei confronti degli Indios. Ma la storia era già stata scritta.
Nella storia del cannibalismo non mancò il cosiddetto rovescio della medaglia: Cook e i suoi uomini, giudicarono la pratica del sacrificio umano e dell’antropofagia con severità, definendola ripugnante. Ma partecipando ad alcune cerimonie, il Capitano non si rese conto che assistere a tali rituali lo aveva reso parte integrante di quel mondo e dopo essere stato identificato con il dio Lono, morì in seguito alla violazione di uno status rituale che gli indios gli avevano attribuito.
Casi di cannibalismo nella storia europea del passato, ce ne sono stati molti, e non si è trattato di ritualità, bensì di disperazione. Ad esempio il disastro della baleniera Essex. Era il 20 novembre del 1820. La Essex si trovava nel mezzo dell’Oceano Pacifico. Tre lance si buttarono all’inseguimento di una grande balena, ma durante l’ arpionamento, una lancia subì una grave falla allo scafo. L’ufficiale Owen Chase decise di tornare alla nave, per ripararla in tempo per riunirsi agli altri membri dell’equipaggio. Accadde esattamente in quel momento che Chase vide emergere dall’acqua, a circa 90 metri di distanza, la testa quadrata di un capodoglio, lungo 24 metri. L’animale soffiò due o tre volte, poi sbatté furiosamente la coda e puntò dritto, verso la prua della Essex. L’equipaggio rimasto a bordo, non poté far nulla per evitare l’urto, che scosse la nave da cima a fondo. Il capodoglio parve stordito e si allontanò, ma dopo pochi minuti, incredibilmente, riapparve puntando di nuovo sulla Essex.
Il capodoglio urtò con la testa il bastimento all’altezza della prua, e poi scomparve. La Essex colò a picco. In pochi minuti si riempì d’acqua e si coricò sul fianco sinistro, nel frattempo, le altre lance rientrarono e il capitano Pollard chiese a Chase cosa fosse accaduto, e la risposta entrò nella leggenda: erano stati affondati da una balena. I venti uomini della Essex, soli in mezzo all’Oceano Pacifico, e iniziarono una terribile odissea: rimasti a bordo delle tre lance, percorsero 4500 miglia fino alla costa cilena, tormentati dalla fame, dalla sete, dalle tempeste e dalla disperazione. Tre di loro si fermarono su un isolotto e furono soccorsi solo alcuni mesi dopo. Degli altri, solo cinque arrivarono a toccare la costa, dopo essere riusciti a sopravvivere cibandosi delle carni dei loro compagni morti. Un marinaio fu addirittura estratto a sorte e poi ucciso. Sui superstiti del disastro,il capitano Pollard, il primo ufficiale Owen Chase e il mozzo Thomas Nickerson, gravò l’onere e il dolore di testimoniare l’accaduto.
Le storie di cannibalismo non sono da considerarsi esclusiva di un’epoca lontana, basti pensare alla sciagura del Fairchild, l’aereo precipitato sulla Cordigliera delle Ande negli anni ’70: la tragedia vissuta da quegli uomini non è molto diversa da quanto accaduto ai marinai della baleniera Essex. Purtroppo, la storia dei grandi viaggi e delle esplorazioni ha anche scritto pagine non a lieto fine, ed è giusto conoscerle.
Giudicare è impossibile, negare sarebbe stupido.