– Oggi e ieri
– Turismo alpino
– La passione
– Contro i pregiudizi occidentali
– La vita di Isabelle Eberhardt
– Sete di vita
– Un amore
– Testimone impotente
– Un beffardo destino
“Con il vestito ammodo da ragazza europea non avrei mai visto nulla, il mondo per me sarebbe rimasto una porta chiusa, perché la vita esterna sembra essere stata fatta per l’uomo e non per la donna. Invece io amo tuffarmi nel bagno della vita popolare, sentire le onde della folla scorrere su di me, impregnarmi dei fluidi del popolo. Soltanto cosi’ io possiedo una città, e ne so cose, che un turista non capirà mai, nonostante tutte le spiegazioni delle sue guide”.
Isabelle Heberhardt, 1897
Oggi e ieri
Quante volte capita di pensare che è giunto il momento di mollare tutto, di andarsene. Così come tenta di fare Vincent, il protagonista del film di Otar Iosselliani, “Lunedi’ mattina”. Il protagonista oppresso dal pendolarismo immutabile tra casa-fabbrica, fabbrica-casa, un uomo come tanti, prigioniero di una di una vita maledettamente uguale e priva di significato. Vincent decide così di non oltrepassare più il cancello della fabbrica e parte per un viaggio-vagabondaggio.
Viaggiare oggi è più facile, (nella maggioranza dei casi). Esistono i mezzi di trasporto più vari, reti stradali, ferrovia e strumenti come le cartine, gli atlanti geografici assai dettagliati. Pochi i luoghi ancora inesplorati. Ma viaggiare non significa vagabondare come lo intendeva Isabella Eberhardt, occorrono due ingredienti indispensabili: il tempo che è un bene prezioso e, la passione.
Viaggiare un tempo, inteso come piacere di viaggiare, era attività riservata a pochi, normalmente persone agiate o ai cosiddetti “spiriti liberi”. Tra quei pochi, le donne che viaggiavano (perché ce ne sono state), rappresentavano l’eccezione. Essere donna e viaggiare fino agli inizi del ‘900, era un binomio non comune che inevitabilmente associava lo stridente aggettivo “leggiadra” a “stoica”. Isabelle Eberhardt, donna, coraggiosa, animata da passione, per assecondare la propria indole viaggiò sotto mentite spoglie: si travestì da uomo.
Turismo alpino
La passioneUno stato d’animo febbricitante, che toglie il respiro, che spinge verso l’ignoto, con una forza così travolgente da spazzare barriere mentali o materiali. Ecco l’eredità di Isabelle Heberhardt. E’ stato scritto di lei:
“nessun principe nella vita di Isabelle, nessun alto funzionario, nessun appoggio, tutto ciò che realizzò fu intrapreso senza alcun aiuto e nella solitudine” Ciò che l’ ha resa speciale è che tutto quello che ella vide e visse, è accaduto realmente. Che cosa significava nascere donna, viaggiare sola, senza mezzi, travestita da uomo, nel deserto algerino di fine Ottocento?
Un diritto che pochi intellettuali si curano di rivendicare è quello di andare errando, il diritto al vagabondaggio. Eppure il vagabondaggio è l’affrancamento, la vita lungo le strade è la libertà. Rompere coraggiosamente, un giorno, tutti gli impacci di cui la vita moderna e la debolezza del nostro cuore, sotto pretesto di libertà, hanno caricato il nostro gesto, armarsi del bastone e della bisaccia simbolici, e andarsene. Per chi conosce il valore, e il sapore delizioso della solitaria libertà (perché si è liberi soltanto quando si è soli), andarsene è l’atto piu’ coraggioso e bello. Felicità egoista, forse. Ma è la felicità, per chi la sa gustare. Essere soli, essere poveri di bisogni, essere ignorati, stranieri e a casa propria dappertutto, e andare, solitari e grandi, alla conquista del mondo.
La passione
L’Algeria fu la meta scelta da Isabelle, territori che conosceva in parte perché vi era già stata assieme alla madre. Ella non si limitò a visitarne le città o a seguire un itinerario per così dire turistico. Ella errò nel deserto, a dorso di cavallo, dormì con i nomadi del deserto, divise con lo loro le giornate, affrontò i lenti trasferimenti tra un’oasi e l’altra, tra le dune di sabbia, sotto il sole. Per mantenersi scriveva articoli per alcune riviste, ma niente di speciale da fare di lei una grande e ricca cronista. Incredibile pensare che una donna potesse attraversare da sola L’Algeria, poi il Marocco, la Tunisia a quei tempi. Forse il mondo era migliore di quello che pensiamo?
Isabelle si travestì da uomo e si appropriò di un nome maschile, e con l’unico mezzo che aveva a disposizione, si sentì libera di assecondare il destino. Visse tra la vera gente, contemplò il mondo, descrisse l’anima di un popolo, i tramonti e le albe e osservò l’instaurarsi del colonialismo francese.
Contro i pregiudizi occidentali
Isabelle Eberhardt è sovente descritta come un’avventuriera, poi seguace di una confraternita mussulmana, quindi cronista di guerra, ribelle da sempre. A causa di un’infanzia difficile e avvolta da mistero, ella visse scevra dai pregiudizi occidentali, vi si oppose con tutte le forze, destando scandalo.
“vivere tutto, conoscere tutto: i luoghi malfamati e i santuari. Passa dai bordelli alle moschee, dai bassifondi delle città coloniali, agli accampamenti nomadi del Sahara”.
Il suo viaggio cominciò a Marsiglia, dove s’ imbarcò per l’Algeria e da quel giorno inizia la stesura del suo lungo diario di viaggio. Aveva ventidue anni.
La vita di Isabelle Eberhardt
Isabelle Eberhardt era di origine russa, probabilmente discendente da un’aristocratica famiglia, ma nacque a Ginevra nel 1877 poiché la madre, vedova di un ufficiale, vi era costretta in esilio per motivi politici. Il mistero avvolge la nascita d’ Isabelle il cui padre rimase ignoto. Varie le ipotesi sulla reale paternità, tra le quali la meno romantica fa di lei la figlia di uno stupro.
Un’infanzia priva di riferimenti affettivi, senza radici, che Isabelle affrontò dedicandosi interamente alla lettura. Leggeva qualsiasi cosa le capitasse fra le mani, libri, giornali, romanzi che si faceva prestare dagli amici di famiglia e cosi’ nacque la passione per la scrittura. Poi il desiderio di sottrarsi a quello stile di vita, la fuga. Per scrivere aveva bisogno di viaggiare, di mischiarsi alla gente, ma soprattutto il suo era il bisogno di ribellarsi agli obblighi sociali imposti dalla società. Rifiutò categoricamente un matrimonio combinato e, dopo la morte precoce della madre, Isabelle partì. Aveva ventidue anni, era giovanissima e determinata. Sentiva dentro di sé il peso pressante di un destino inclemente, probabilmente quel voler vedere tutto, vivere tutto, altro non era che la voce di un istinto non comune, il presagio di una vita breve.
Sete di vita
In quegli anni algerini, Isabelle riuscì a tuffarsi nell’umanità da cui era attratta. I moltissimi quaderni da lei scritti che sono stati ritrovati solo dopo la sua morte e pubblicati postumi. Racchiudono pensieri e immagini sublimi, la mente viaggia assieme a lei attraverso i paesaggi che hanno per sfondo il calore intenso della sabbia e la luce accecante del sole africano e via via che le pagine si succedono, ci si sente avvolti e permeati dalla sensazione di caldo, di sole, di vita, di bramosia di vivere.
“Nello sconfinato oceano di luce rossa che inondava la città e i cimiteri, quelle donne drappeggiate di scure stoffe dalle pieghe elleniche, andavano in silenzio verso i giardini affondati fra le dune in fiamme. Assomigliavano a fantasmi scivolanti a fior di terra. Ma ecco che il sole è scomparso, e quasi subito, il bagliore delle dune si va facendo di un viola marino, e le ombre profonde, salgono strisciando e spengono man mano le luci che ancora accendono le cime, d’improvviso dalle moschee una voce si leva, lenta e solenne. E’ bello addormentarsi così non importa dove, a cielo aperto, sapendo che domani si partirà e certo non si tornerà mai”
Un amore
Isabelle Eberhardt fuggì dal matrimonio combinato, ma un paio di anni dopo in Algeria, iniziò una relazione con un sott’ufficiale di origine araba naturalizzato francese, che era impiegato nell’amministrazione coloniale in veste di interprete. La relazione divenne complicata è difficile proprio per il suo modo di voler continuare a viaggiare, travestita da uomo, a contatto con popolazioni nomadi sconosciute, conducendo una vita sregolata. Il travestimento, la ribellione, l’audacia rendevano compromettente e indefinibile il ruolo nella società coloniale. Le autorità francesi iniziarono a sospettare di lei e finirà per essere espulsa dall’Algeria. Decise allora di sposarsi con il sott’ufficiale e grazie alla cittadinanza acquisita col matrimonio, ritornò in Algeria per proseguire il suo viaggio. Percorreva a cavallo le piste battute del deserto, al seguito di carovane nomadi, esplorò la zona del Grande Erg. Di villaggio in villaggio s’immerse profondamente in quell’umanità misera, ma piena di dignità, di nobiltà interiore. Comprese ben presto che la cultura nomade era prossima all’annientamento, a causa dell’avanzare della civiltà occidentale, e si sentì impotente dinanzi ad un irreversibile destino dell’umanità. Oltre a scrivere articoli per alcune riviste, Isabelle Heberhardt scrisse un romanzo ed infine ricevette l’incarico come cronista di guerra nel sud algerino. Ma la sua passione rimase la gente del popolo.
“Mi hanno spesso rimproverata di trovarmi bene con la gente del popolo, ma dov’è la vita, se non nel popolo? Da qualsiasi altre parte, il mondo mi sembra stretto. Ho la sensazione, in certi ambienti, di un ‘atmosfera artificiale: ci respiro male. Non so mai quello che puo’ essere “sconveniente”. A dire il vero, povertà e ingenuità non mi hanno mai turbata troppo, e neanche la volgarità. Cio’ che mi appare alla lunga insopportabile, è l’eterno ritegno mediocre di certa gente. E poi, la mancanza di coraggio che la contraddistingue, quella prudenza, quella affettazione di vivere in maniera ragionevole e giudiziosa. Sono sempre stata stupita che un cappellino alla moda, una camicetta elegante, un paio di stivaletti ben tirati, un po’ di arredamento fatto di mobiletti ingombranti, un po’ di argenteria e porcellane, bastassero per calmare la sete di felicità di tante persone”.
Testimone impotente
Isabelle Heberhardt fu la prima donna occidentale in grado di vedere realmente e denunciare l’avanzare del progresso. C’era rassegnazione in lei, dolorosa contemplazione, cosa avrebbe potuto fare nel 1890, sola?
“Il famigerato benessere che comporta benefici solo apparenti e come le speranze sul futuro svaniranno nella sabbia”.
“Coloro che restano, vengono alla stazione per vedere, malinconica distrazione, il treno che passa…e la vita se ne va altrove”.
Un beffardo destino
La vita di Isabelle fu brevissima.Irrequieta, curiosa, assetata di vita, riflessiva, mistica, capace di annullarsi nel lento scorrere delle ore, osservando scenari, nel pericoloso, ma delizioso intorpidimento che conduce alle porte del nulla, morì a ventisette anni.Un destino bizzarro, beffardo, inimmaginabile. Isabelle morì annegata, durante l’eccezionale inondazione che nel 1904 devastò la città di Ain-Sefra , proprio nel deserto. La sua casa fu spazzata dalle acque e tra il fango vennero poi ritrovati i suoi diari. Non basterebbe una vita per scrivere quei pensieri, per trasmettere l’intensità di quei paesaggi, i colori, i suoni della medina, le voci, per mostrare l’anima di un popolo. Lei lo fece, in una vita brevissima. Lei aveva scelto, aveva osato, non voleva più esistesse il lunedì.