– Come è nato il turismo alpino
– Per sci, due ossa di bue
– La montagna non piaceva
– Prime forme di stress cittadino
– Montagna affollata!
Come è nato il turismo alpino
Il primo Club alpino venne fondato dagli inglesi nel 1857, mentre il primo ski Club di Torino città capoluogo piemontese e sede delle Olimpiadi Invernali 2006, ha celebrato nel 2001 il suo primo centenario, e cent’anni non sono proprio pochi; fondato nel dicembre del 1901, per l’occasione è stata allestita una mostra al Museo Nazionale della Montagna intitolata “Un secolo di sci e sciatori” e con divertimento e stupore, chi ha potuto visitare la mostra ha avuto l’opportunità di scoprire fotografie d’epoca inedite con immortalati alpinisti e sciatori di fine Ottocento.
Se l’attività di viaggiare, il viaggio in senso turistico quindi per piacere rappresentava a quell’epoca un lusso riservato all’elite, anche lo sci e l’alpinismo non erano da meno. Tale forma di viaggio, di esperienza itinerante, rimase un passatempo per pochi fino alla Grande Guerra, data che segna anche il diffondersi del turismo di massa. Ma come sono nati gli Ski club? Tutto è cominciato grazie ai reduci alpini sciatori che si dedicarono all’insegnamento di questo sport nelle valli alpine piemontesi, contribuendo alla sua diffusione e a quel processo culminato nel ‘900 che poco alla volta ha modificato i paesaggi montani, con la costruzione di infrastrutture ad uso turistico. Ma praticare lo ski come svago e fare le vacanze invernali, o settimana bianca, non é stato un passaggio così scontato…
Ossa di bue
Un tempo gli sci, che venivano chiamati SKI, erano uno strumento di locomozione, il più antico inventato dall’uomo. Alcune fonti fanno risalire tale invenzione al 3000 avanti Cristo, come proverebbero alcune incisioni trovate in Norvegia. Gli studiosi esploratori Nansen e Luther sostenevano che tale mezzo di trasporto, fosse nato in alcune zone della Siberia e della Mongolia. Questo farebbe supporre che la colonizzazione dell’America ebbe proprio inizio con l’arrivo di skiatori dalla Manciuria i quali, attraversando lo stretto di Bering fino all’ Alaska, raggiunsero il Canada, mentre un altro gruppo probabilmente raggiunse il nord della Scandinavia.
I vichinghi usavano ossa di bue per scivolare sulla neve mentre i Lapponi, circa 2000 anni fa, calzavano uno sci lungo e sottile al piede destro, mentre quello al piede sinistro era più corto e appoggiato su di una pelle di foca. L’andatura probabile era quella di chi va in monopattino. E’ probabile che venissero anche ossa di balena ritrovate in seguito allo spiaggiamento di alcuni esemplari.
L’uso degli sci consentiva di percorrere molti chilometri al giorno e proprio Nansen, Direttore del Museo di Bergen, lo constatò riuscendo nel 1888, a compiere la traversata della Groenlandia in soli 39 giorni.
La montagna non piaceva
Ci sono voluti molti anni prima di identificare gli sci come un modo per praticare uno sport o come puro divertimento, e altrettanto c’è voluto anche per apprezzare la montagna. Nel 1680 per esempio, Courmayeur era già conosciuta, ma non per le piste innevate, bensì per la proprietà delle sue acque termali. La montagna non era un luogo ambito, soprattutto non piaceva affatto e molte sono le testimonianze dell’epoca. Ecco come uno dei primi visitatori descrisse l’imponente e suggestiva vallata Yosemite in Sierra Nevada:
“un’opprimente sensazione di sublime, di terribile desolazione, di meraviglia trascendente e di imprevisto ci avvinse quando fermammo bruscamente i cavalli fuori dalla foresta verde e sostammo sopra una roccia sporgente, che sovrastava questo mare di montagne, di granito…”.
Ancor prima nel 1732, quando Carlo Linneo vide per la prima volta i paesaggi montuosi della Lapponia ebbe addirittura una reazione violenta e scrisse :
“non si riesce a scorgere altro che montagne su montagne, ma brulle, niente boschi, niente case, niente recinzioni, niente strade, niente uccelli che cantano, niente tramonti”.
Per comprendere questa sensazione di sconforto che la visione di un paesaggio montano suscitava, è necessario fare un passo indietro, cioè pensare che i paesaggi che interessavano i viaggiatori erano le vedute di città d’arte, i luoghi culto per la storia, l’architettura, i paesaggi “civilizzati” per così dire dall’uomo, dove la natura era stata addomesticata in qualche modo. La gente era attirata dalla città e dalle prospettive di benessere rappresentato dal lavoro e quindi fuggiva dalle campagne, dai villaggi sperduti. Ci vorranno anni e anni per assistere all’effetto contrario! Oggi infatti si cerca di fuggire dalle città per vivere una vita più sana.
Prime forme di stress cittadino
Era fine Ottocento, il progresso aveva compiuto passi da gigante, iniziava la rivoluzione industriale. L’automobile, la macchina fotografica, l’uso dei bagni nelle abitazioni civili, erano solo una serie di ingredienti che oggi definiamo “comodità”. Le persone più abbienti erano attirate da quel fascino, rappresentato dal nuovo stile di vita ed era impensabile trovare poesia o suggestione guardando cime innevate. Non potevano immaginare che la montagna, un giorno sarebbe divenuta meta vacanziera ambita.
Il bisogno di nuovi interessi, e le prime forme di stress da vita cittadina, fecero sentire all’uomo del XIX secolo la mancanza del contatto con la natura. L’interesse per la montagna, per il selvaggio iniziò con le passeggiate e la veduta delle cascate che piacevano molto alle donne, come ad esempio le Cascate del Niagara. La costruzione di infrastrutture turistiche e la ferrovia soprattutto, facilitarono l’accesso alla massa e le gite giornaliere si trasformarono in soggiorni di villeggiatura e quindi Settimane Bianche.
Ma ecco il rovescio della medaglia: anche le cascate persero il fascino derivante dalla difficoltà di raggiungerle, c’era troppa folla che si accalcava e il fenomeno venne giudicato come un impedimento psicologico all’ esperienza emozionante e suggestiva che le sensazioni di sublimità, di “pericolo”, “difficile da raggiungere” suscitavano. Insomma, gli uomini non sono mai contenti, è il caso di pensarlo.
Si cercheranno allora nuovi scenari in grado di trasmettere la sensazione di sublime e ciò fece da apripista al turismo alpino. Primeggiarono in assoluto le Alpi Svizzere, poi le Alpi del versante francese quindi italiano, mentre negli Stati Uniti il primato spettava ai Monti Catskill e le montagne di Santa Cruz che entrarono in competizione pur di vedersi assegnati l’etichetta di Svizzera degli Stati Uniti. Cartografi, pittori e sarti dovettero adeguarsi, occorreva ridisegnare le cartine stradali, ritrarre le nuove località montane per scopi pubblicitari e bisognava inventare indumenti adatti alle scalate.
Montagna affollata!
Il primo Club alpino venne fondato dagli inglesi nel 1857, fu seguito da molti altri che ebbero un ruolo fondamentale nel promuovere le escursioni sensibilizzando i turisti verso il piacere del vivere all’aria aperta. Ma come accadde per le cascate, anche praticare lo sci e fare escursioni alpine divenne a portata di tutti e quindi l’insofferenza animò i viaggiatori.
Nell’annuario del 1889 del Touring Club svedese si legge:
“negli anni cinquanta dell’Ottocento la montagna più alta della Norvegia e del Nord Europa, era sconosciuta ai più. Ora, invece, non passa giorno, ammesso che ci sia un bel sole estivo, che la montagna non venga presa d’assalto da orde di turisti, tra cui anche molte donne. E’ una conquista troppo facile. E’ demoralizzante combattere contro un avversario simile”.
Con il dilagare di turisti sui versanti alpini di tutto il mondo, l’insofferenza verso i propri consimili aumentò a dismisura, sia che fossero donne o uomini. John Muir in una sua raccolta di lettere scritte tra il 1866 e il 1896 durante un viaggio nella valle del Yosemite, presa letteralmente d’assalto, denunciò i nuovi turisti e aggiunse che “molti di loro galleggiavano lenti sul fondo della vallata come innocua feccia che si raccoglie nei vortici degli alberghi e dei saloon…”
Ai primi decenni del Novecento, l’impresa turistica era ormai in piena ascesa e non si contavano più gli alberghi, i caffè e gli impianti di risalita in costruzione, il via vai di turisti era ormai consuetudine nelle vallate alpine non più solitarie e sublimi.
Ci sarebbe ancora molto da raccontare, ma forse la sintesi più efficacie sta nel pensiero di John Hopkins:
“Persino gli orsi grizzly mangiavano alla luce delle lampadine a spese del governo”.